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IAA... approfondimenti

Jack e amico di pezza"E' l'antica amicizia,

 la gioia di essere cane e di essere uomo

 tramutata in un solo animale

 che cammina muovendo sei zampe

 e una coda intrisa di rugiada"

 (Pablo Neruda)

 

 

 

 

 

Nel 1953 un evento fortuito, la presenza del cane Jingle a turbare il setting terapeutico, diede il via a quella che fu formalizzata per la prima volta come “Pet-Therapy”.

 Lo Psichiatra infantile Boris Levinson era alle prese con un piccolo paziente mutacico e, come ogni seduta nell'ultimo mese, i risultati erano pressochè nulli, finchè l'anticipo del bambino rispetto all'orario stabilito non gli fece incontrare Jingle, il cane del terapeuta, normalmente tenuto fuori dallo studio: il piccolo paziente iniziò a parlare con l'animale e, in seguito, con il terapeuta stesso, utilizzando Jingle come centro d'interesse.

 Con il procedere della terapia, alla presenza non convenzionale del cane, il medico potè osservare come essa sembrasse facilitare la comunicazione verbale, fornendogli l'occasione per “rompere il ghiaccio” e rendere meno oppressive le difese e le resistenze del bambino.

 All'animale, in un celebre articolo di Levinson del 1962, fu riconosciuta la qualifica di “Co-terapeuta” e di lì a qualche anno, lo Psichiatra coniò il termine “Pet-Therapy” e dedicò il resto dei suoi studi all'osservazione dei vantaggi di questo nuovo approccio.

 

LA RICERCA

 

  • GLI EFFETTI SULLA SALUTE FISICA

 È esperienza comune come la nostra esistenza possa risultare arricchita dal contatto con i pet, che contribuisce a renderla più piena ed appagante.

 La ricerca sulla relazione uomo-animale ha fornito, negli ultimi decenni, un grande contributo alla comprensione di come si attui questo processo di valorizzazione e di come agisca positivamente sulla salute dell'individuo.

 È possibile, con Katcher e Beck (1983), suddividere le ricerche che hanno come oggetto la salute fisica in tre filoni fondamentali, sulla base dell'approccio metodologico utilizzato.

 Un primo gruppo di indagini è costituito da ricerche longitudinali, in cui la salute dei soggetti è stata valutata o auto-valutata in un determinato arco temporale. È il caso degli studi, ormai classici, condotti negli anni Ottanta da Friedman e collaboratori, i quali partivano dall'ipotesi dell'importanza del sostegno sociale sulla salute. I novantasei soggetti partecipanti, scelti casualmente tra gli afferenti a reparti cardiologici di diversi ospedali degli USA con diagnosi pregressa di infarto del miocardio, furono sottoposti ad un'intervista relativa a diversi aspetti della loro vita, atta a valutare la loro possibilità di ottenere sostegno sociale con diversi mezzi, compreso quello costituito dagli animali da compagnia. Ad un anno dall'infarto, i ricercatori riscontarono una sopravvivenza pari al 94% del gruppo di possessori di pet, contro il 71% dei non possessori.

 Altro studio longitudinale venne condotto da Siegel (1990), a partire dall'ipotesi che il possesso dei pet potesse fungere da modulatore di fronte agli eventi stressanti della vita, così da renderli più tollerabili. Dopo aver monitorarto per un anno la frequenza del ricorso al medico di base in un migliaio di pazienti anziani, l'autrice suggerì che l'animale, il cane soprattutto, costituisse parte della rete di sostegno sociale dell'anziano, con un vero e proprio effetto tampone rispetto agli eventi stressanti; in queste circostanze, il maggior ricorso al medico sarebbe interpretabile come ricerca di contatto e rassicurazione, da parte degli anziani soli.

 Un secondo filone di ricerca è quello costituito dagli studi fisiologici, finalizzati alla misurazione dei valori assunti da una variabile in diverse condizioni, in presenza o in assenza di animali da compagnia. Nel suo esperimento del 1981, Katcher misurò la variazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa nel corso di un'ora, in 80 soggetti assegnati casualmente a tre gruppi: nel primo gruppo, si prevedeva l'interazione con il proprio pet; nel secondo, l'interazione era possibile con un cane socievole, ma non con il proprio animale; nel terzo, il gruppo di controllo, non erano presenti animali. Il monitoraggio mostrò una significativa riduzione dei parametri presi in considerazione nei primi due gruppi, con il minor decremento degli indici nel gruppo di controllo. A partire da questa prima indagine, della quale erano evidenti anche i limiti metodologici, le variabili della pressione sistolica e diastolica sono state in seguito incluse in disegni di ricerca caratterizzati da maggior rigore e controllo delle condizioni standard.Jack e bimba

 Nonostante i limiti metodologici ed i risultati talvolta contrastanti, la ricerca ha dunque superato una prima fase, costituita spesso da resoconti aneddotici, evidenziando l'esistenza di un effettivo legame tra possesso di pet e salute; un legame indiretto, secondo la maggior parte degli studi, probabilmente mediato da altre variabili da individuare. 

 

  • GLI EFFETTI SULLA SALUTE MENTALE

 Dopo aver considerato le ricerche che si sono occupate di individuare la relazione esistente tra salute fisica ed interazione con i pet, passiamo a citare le ricerche che, invece, si sono occupate della relazione tra salute mentale ed interazione con i pet, pur essendo consapevoli che proporre una distinzione tra effetti dell'interazione con gli animali sulla salute fisica ed effetti sulla salute psichica può sembrare poco rispettoso dei legami che vedono strettamente connesse le due sfere. Pur consapevoli di questo, abbiamo preferito operare tale differenziazione come strumento classificatorio per ordinare la mole di ricerche prese in considerazione.

 Rispetto agli studi che hanno preso in considerazione la salute fisica, quelli sulla salute mentale dei soggetti sono caratterizzati da una metodologia che, non potendo contare su situazioni sperimentali vere e proprie e ricorrendo raramente agli studi longitudinali, è vicina ai protocolli utilizzati nelle scienze sociali. Nella maggior parte dei casi in questo campo si fa riferimento a studi che hanno tentato di dimostrare il ruolo dell'interazione con l'animale o del suo possesso o, ancora, della sua presenza, nel miglioramento del clima, delle condizioni ambientali percepite e vissute dai pazienti.

 Le prime ricerche sull'Animal Assisted Therapy, dalla fine degli anni Settanta, testimoniano l'utilizzo della terapia con gli animali in diversi contesti clinici, a partire dalle osservazioni di Levinson; esse presentano disegni di ricerca basati sull'osservazione, spesso condotta su campioni veramente limitati di soggetti, prevalentemente in ambiente istituzionale.

 Corson e Corson (1979), nel loro lavoro sulle strutture per anziani, descrivono le dinamiche tipiche dei gerontocomi: la presenza di gruppi ristretti e chiusi ad una socializzazione più ampia, la deprivazione generale degli stimoli, un'organizzazione massificante. A questi limiti, tipici degli spazi istituzionali, altri autori aggiungono l'aspetto freddo, sterile, ipermedicalizzato, che ne caratterizza gli ambienti (Cusack e Smith, 1984).

 I Corson promossero protocolli di terapia che prevedevano l'utilizzo degli animali da compagnia in visita a degenti anziani, riscontrando significativi cambiamenti nella qualità della loro comunicazione. L'animale sembrava funzionare come stimolo, soprattutto sulle persone con maggiori difese e/o resistenze, promuovendo un atteggiamento di maggior “responsività” o reattività all'ambiente circostante e l'aumento delle interazioni con esso; una sorta di risveglio, dovuto all'inserimento di un elemento che, con la sua imprevedibilità, ponesse gli anziani ipostimolati di fronte a situazioni diverse dagli standard della routine istituzionale.

Cuccioli Sempre nel 1979, Brickel introdusse l'interazione con i gatti tra i 19 pazienti di una clinica geriatrica e riscontrò un generale miglioramento del clima e dell'ambiente terapeutico, attribuibile anche alla maggiore attività degli anziani, coinvolti nella routine quotiduiana del loro accudimento. Brickel elaborò anche delle ipotesi esplicative sul ruolo dei pet nel miglioramento dell'ambiente clinico, definendo l'animale come “distrattore emozionale”. Il pet, con la sua vivacità contrapposta alla monotona vita istituzionale, potrebbe stornare l'attenzione dei pazienti dagli stimoli ambientali ansiogeni, favorendone una maggiore attività, anche nella partecipazione al processo terapeutico. Nel 1984, l'autore studiò l'effetto delle sedute di psicoterapia assistita con animali in pazienti anziani depressi; le osservazioni suggerirono come questo approccio facilitasse il recupero, da parte dei soggetti, dei ricordi del proprio passato – spesso scaturiti dall'associazione con gli animali della propria infanzia e gioventù- ed una maggiore disponibilità alla loro rielaborazione in terapia, dati confermati da ricerche successive (Savishinsky, 1985).

 L'uso dei pet come fonte di stimoli ambientali venne testato, oltre che sui pazienti anziani, anche su soggetti in età evolutiva con profondi disturbi nella relazione con il mondo esterno (Condoret, 1983), mentre altri studi si sono interessati alla relazione tra possesso di pet/interazione con loro, reazione agli stress e coping.

 Alla fine degli anni Sessanta la definizione, da parte di Lazarus, del coping come l'insieme delle strategie psicologiche e comportamentali messe in atto per affrontare situazioni problematiche, ebbe largo seguito nella ricerca e nella messa a punto di strumenti psicometrici per la sua valutazione. I primi studi sull'effetto dei pet su questa variabile risalgono ai tardi anni Ottanta e acquisiscono un maggior rigore metodologico nel decennio successivo.

 In un altro gruppo di ricerche, come indicatori della salute psichica dei soggetti, sono state utilizzate variabili quali il livello di ansia, di autostima ed il tono dell'umore. Le modificazioni nel livello di autostima riferibili all'interazione con gli animali sono state oggetto di indagine anche sugli adolescenti ed i risultati hanno mostrato un significativo incremento della stima di sé, che gli autori legano all'esperienza del prendersi cura dell'altro; inoltre, l'interazione con l'animale ha un effetto “ansiolitico” sui soggetti, inducendo risposte di maggior rilassatezza e serenità.

 Alcuni studi su variabili psicologiche sono stati condotti su malati psichiatrici istituzionalizzati.

 Nel 1985, Francis, Turner e Collaboratori sottoposero ad un periodo di Terapia Assistita con Animali un gruppo di 42 anziani pazienti psichiatrici in una comunità. La terapia si protrasse per un periodo di due mesi, con la frequenza di tre visite settimanali. Il confronto tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo e la misurazione dei valori assunti dalle nove variabili esaminate nel pre-test e nel post-test fecero concludere agli studiosi che il trattamento con i cani in visita aveva contribuito al miglioramento del senso di benessere psicologico, al funzionamento mentale generale, ad una riduzione dei livelli di ansia e di depressione.

 Questa esperienza è stata replicata (Barker et al., 1998) con un campione più esteso: 230 pazienti psichiatrici cronici. In questo caso, i risultati ottenuti dal gruppo sperimentale -sottoposto ad Attività Assistite da Animali- sono stati comparati a quelli di un gruppo di controllo cui sono state proposte altre terapie occupazionali ricreative. La variazione dei livelli di ansia, misurata attraverso lo STAI X1 e STAI X2 (Spielberger et al., 1983) sembrava essere legata alla tipologia di disturbo psichico. Le attività con animali offrivano un effetto ansiolitico ad una grande varietà di disturbi mentali, soprattutto nelle psicosi, con dimezzamento dei livelli di ansia post-trattamento rispetto ai risultati ottenuti con le terapie occupazionali tradizionali; queste ultime sembravano, invece, funzionare altrettanto bene soltanto con i soggetti affetti da disturbi dell'umore.

 Barker e collaboratori hanno iniziato a sperimentare, più recentemente (2003), l'effetto ansiolitico della Terapia Assistita con Animali prima di eventi che, come la terapia elettroconvulsivante, sono fortemente avversati e temuti dai pazienti psichiatrici, ottenendo buoni risultati -in termini di riduzione di ansia, paura e vissuti depressivi- seppure con campioni limitati.

 A conclusione di questa breve rassegna, citiamo due ricerche sul benessere psicologico di soggetti in età evolutiva.

 Lo studio di Bodmer et al., (1995) è stato condotto su un campione di 1.219 adolescenti svizzeri, di cui 592 con pet. Sono state ricercate correlazioni tra possesso di animali, caratteristiche personali dei ragazzi, livello di autostima e di ansia. L'analisi della varianza ha individuato i possessori come soggetti con il maggior grado di benessere psicologico soggettivo, ma con livelli di ansia e di autostima non dissimili da quelli del gruppo di controllo, a parità di SSE percepito. Nel caso di scarse risorse familiari (misurate valutando il clima familiare, la presenza di entrambi i genitori, la percentuale di tempo libero passato con i figli), tuttavia, il pet non sembra avere un ruolo significativo sul benessere dei ragazzi.

 Nella ricerca di Prothmann e Bieler (2006) il benessere psicologico nei bambini è stato definito come associato a estroversione, equilibrio emotivo, vitalità e reattività all'ambiente. La misurazione di queste variabili come strumenti standardizzati in bambini con disturbi alimentari, emotivi e dell'umore, ha dimostrato come l'interazione con gli animali riuscisse a migliorarne nettamente il grado di benessere.

 

IL CANE COME CO-TERAPEUTA

 

 Mentre l'addomesticamento del gatto e di altri animali da cortile si deve alle civiltà stanziali, nel caso del cane i primi contatti con l'uomo sono avvenuti verso gruppi nomadi di cacciatori. Le origini dell'avvicinamento dei branchi di lupi all'uomo, probabilmente, risiede nel fatto che essi fossero ben tollerati dai gruppi di cacciatori del tardo Paleolitico. Sabrina e Dexter

 Questi branchi di lupi che vivevano assieme alle tribù nomadi, nutrendosi dei loro scarti, diedero origine ai protocani.

 Le ragioni del legame che ha unito nel corso del tempo l'uomo e il cane, facendo si che quest'ultimo abbia un ruolo speciale anche nelle AAT (Attività Assistite dall'Animale), risiedono nella loro innegabile somiglianza e affinità, tanto che per diversi studiosi il cane si presterebbe meglio di altre specie -primati compresi- allo studio comparativo dello sviluppo socuiale degli umani (Topàl et al., 2009)

 Innanzitutto il cane, rispetto agli altri pet, ha una capacità di comunicazione prelinguistica complessa, che sa usare nell'interazione con l'uomo. Esso fa ricorso alla lettura dei segnali visivi della nostra specie, oltre che a quel contatto che potremmo definire “faccia a faccia”, facilitato dalla posizione dei suoi occhi, posti più avanti sul muso rispetto a quelli più laterali degli altri predatori.

 Il cane non solo cerca di mantenere il contatto visivo, ma anche di seguire la direzione verso cui è orientata la testa dell'uomo: richiede lo sguardo del padrone su di sé, soprattutto quando riceve degli ordini che, altrimenti, sono meno efficaci.

 Le ricerche hanno anche concluso che i cani rispondono appropriatamente a segnali visivi che informino delle intenzioni, amichevoli o aggressive, degli umani. I nostri segnali verbali, invece, anche se attirano l'attenzione del cane, non sempre sollecitano specifici comportamenti se non sono accompagnati da chiari cambiamenti posturali. Studi recenti dimostrano la sensibilità del cane non solo nell'intonazione ascendente/discendente utilizzata dal proprietario, ma anche alla comprensione acustica delle parole, con possibilità di apprendere ad associarle a determinati oggetti.

 Un'altra ragione del legame uomo-cane va ricercata nella loro relazione sociale, fatta di dipendenza, attaccamento, sincronizzazione e attrazione.

 Una conseguenza significativa del processo di addomesticamento sta nella suscettibilità del cane, attraverso la sua disponibilità alla cooperazione e alla rinuncia dell'antagonismo, di costruire un'unità sociale con il proprio padrone. Quest'abilità è estremamente importante, sia perchè riduce la possibilità di conflitto tra le due parti, sia perchè è legata alla “sincronizzazione sociale”, cioè alla capacità da parte del cane di adattarsi al ritmo della relazione suggerito dai gesti del proprietario. La sincronizzazione è un processo bidirezionale: interagire con il cane ha un effetto sullo stato emotivo dell'uomo e viceversa.

 Altro fattore facilitante della relazione sociale è l'attrazione, definita come lo stabilirsi del legame con un individuo percepito non come singolo, ma come membro di un gruppo, anche se appartenente ad un'altra specie. Parte della relazione sociale ed affettiva che l'uomo intrattiene con l'animale è sicuramente legata alla tendenza all'identificazione e alla proiezione sull'animale di desideri, affetti e tendenze della nostra specie al punto che, per alcuni autori, l'immagine del cane sarebbe tra le più distorte a causa del ricorso massiccio all'antropomorfizzazione.

 Parlando dell'effetto terapeutico dell'animale, citeremo adesso alcuni studi pubblicati negli ultimi dieci anni, supportati da un buon impianto metodologico, con risultati statisticamente significativi e condotti su campioni di numerosità consistente; in sintesi, l'interazione con i cani ha dimostrato di agire sulle seguenti variabili:

  • la funzionalità cardiovascolare, attraverso la riduzione dell'attività sistolica e diastolica e della frequenza cardiaca, sia in situazioni normali, sia in situazioni di stress (Allen et al., 2001).

  • la salute fisica generale degli adulti (Headey, 2006).

  • il tempo dedicato all'attività fisica all'aperto e al camminare, con effetti positivi sulla salute (Cutt et al., 2008).

  • la facilitazione dell'interazione sociale e l'aumento della motivazione allo scambio tra i soggetti coinvolti nelle AAT, con riduzione del vissuto di solitudine (Banks, 2002).

  • il livello di empatia, maggiore nei possessori di cani rispetto ai non possessori (Daly, Morton, 2006).

  • la promozione di comportamenti maggiormente adeguati in bambini con disturbi della condotta, che arrivano ad essere estesi anche a situazioni diverse da quella terapeutica (Katcher, Wilkins, 2000).

  • nel trattamento psicoterapeutico con i bambini, l'osservazione dell'interazione con il cane ha un buon valore diagnostico (Prothmann, 2005).

    La relazione cane-bambino agisce sullo stato mentale dei piccoli pazienti, rendendoli più recettivi alla terapia (Wells, 2004).

 

Le ricerche hanno, inoltre, dimostrato come ci sia una possibilità di applicazione molto ampia delle terapie assistite con i cani, grazie al raggiungimento di una serie di obiettivi terapeutici.

 Innanzitutto, la semplice presenza di un cane nel setting terapeutico sembra alterarne positivamente l'atmosfera, rendendola più calda e caratterizzata da accoglienza ed accettazione, più adatta alla nascita ed al consolidamento dell'alleanza terapeutica. Il cane aiuta nello stabilire una relazione in maniera più rapida e rilassata, grazie all'interesse ed alla simpatia che suscita spontaneamente nei pazienti adulti e non, anche perchè nell'interazione con esso non sono richieste particolari competenze verbali; come per altri animali, la possibilità del contatto diretto favorisce l'intimità e la condivisione. Attraverso il cane, viene fornita ai pazienti non solo l'opportunità di agire direttamente uno stile di interazione personale che in parte riflette quanto appreso nelle relazioni familiari, ma anche quella di migliorare le proprie abilità sociali. Esse assumono aspetti particolarmente evidenti nell'interazione del cane con i bambini affetti da Autismo, con un aumento del contatto visivo, delle manifestazioni di piacere e disponibilità. È noto anche l'effetto positivo che l'interazione con l'animale garantisce sull'autostima e la fiducia in se stessi; come confermato da uno studio di Davis e Juhasz (1995), una grande maggioranza di pre-adolescenti che possiedono un cane sono convinti che l'animale riesca a comprenderli e che mostri interesse verso di loro perchè ne ha una buona opinione.

 A livello affettivo, l'interazione con il cane promuove lo stabilirsi di relazioni di attaccamento, non solo dirette all'animale, ma anche ad altre figure di riferimento; questo si rivela estremamente importante in quelle situazioni in cui la famiglia del soggetto fornisce fonti di identificazione molto conflittuali.

 Il rapporto con l'animale contribuisce alla crescita affettiva dell'individuo, migliorando le sue capacità di condivisione e assunzione del punto di vista altrui. La necessità di interazione secondo regole di rispetto dell'altro agisce sui livelli di aggressività ed impulsività, riducendo i comportamenti non adattivi in tutte le loro manifestazioni.

 

A dog's life

 

Per concludere, voglio invitarVi a riflettere sulla seguente immagine;

 per favore, soffermateVi ad ascoltare le emozioni che Vi suscita:

già questa è una prima forma di Terapia!

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