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Aspettare un bambino: momento di crisi nella vita di una donna, nel senso etimologico del termine, ossia, momento in cui i vecchi equilibri vengono rotti per crearne di nuovi... momento in cui una donna “bambina” è costretta a fare i conti col suo non essere più “bambina”... processo trasformativo che crea confusione e momentanea (o permanente?) assenza di risposta alla domanda: “Chi sono?”. La gravidanza è un momento in cui l'emotività e l'inconscio prendono spesso il sopravvento sulla parte razionale della donna, dando luogo ad una sorta di malessere che, in genere, porta ad un nuovo equilibrio psichico.

Ma “gravidanza” vuol dire anche fare i conti con il proprio passato, con le voragini rimaste aperte del rapporto con la propria madre, adesso che ci si appresta a diventare noi madri, genitrici, basi sicure cui un bambino dovrà affidarsi e questo, spesso, crea angoscia, paura, messa in discussione di noi stesse e di quello che è stato... al fine di poter costruire un'immagine stabile di noi come madri. La richiesta di sicurezza, in questi momenti, diventa enorme: ci si sta tuffando in un mare sconosciuto e, proprio per questo, terrificante, senza braccioli e ciambella, senza che nessuno ci dica quello che dobbiamo fare e come lo dobbiamo fare...

 Scoprire di aspettare un bambino, dunque, quando questa scoperta avviena in condizioni decisamente poco favorevoli, può essere uno shock e rappresentare un momento davvero molto difficile nella vita di una donna, in quanto si sono anche già attivati quei meccanismi maturativi psicologici che la rendono estremamente vulnerabile; svariate ricerche, inoltre, hanno dimostrato che le donne sviluppano un attaccamento emotivo verso il feto già durante le prime fasi della gravidanza. Uno studio, in particolare, indica che l'attaccamento madre-feto inizia subito dopo il concepimento anche nelle donne che progettano di abortire, in quanto i processi psicologici sottostanti a questa relazione precoce sono inconsci; inoltre, teniamo ben presente il fatto che la vita è stata costruita per la vita ed anche questo appena citato è un meccanismo con il quale la vita, alla fine, protegge se stessa ed il proprio divenire.

 E' proprio adesso che la parola “Basta!” interviene con tutta la sua forza ad interrompere questi meccanismi... ma, a volte, la sua apparente forza non è sufficiente a togliere alla madre i sensi di colpa provati nei confronti del feto ed è per questo che l'elaborazione del lutto dovuto alla perdita diventa, poi, molto difficile e dolorosa a causa dei soverchianti sentimenti di rimpianto. Uno studio, a tal proposito, mette in luce un dato davvero preoccupante; se, infatti, il 44% delle donne esprime dubbi riguardo alla decisione di abortire al momento della scoperta della gravidanza, il 30% di esse continua ad avere dubbi al momento dell'IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza).

 I sentimenti ambivalenti che la donna manifesta nei confronti dell'aborto volontario, sono dunque presenti sia prima che dopo l'IVG; ciò ci comunica che, malgrado l'atteggiamento favorevole riguardo all'Interruzione, le donne manifestano comunque una disposizione negativa riguardo al proprio aborto e questa ambivalenza viene generalmente espressa, quando non direttamente, attraverso un comportamento taciturno od impaziente verso il partner o il personale medico, o anche paventando un'eccessiva sicurezza personale: tutti mezzi di sopravvivenza psichica, questi, che servono alla donna a proteggersi dal troppo dolore che, altrimenti, la soverchierebbe.

 L'ambivalenza sperimentata da molte donne è, quindi, un vissuto dovuto sia a conflitti di natura personale, che relazionale, morale e/o spirituale, che influenzano la decisione, sia all'attaccamento profondo che queste madri provano per il loro bambino; il loro “Basta!” egoistico va a cozzare con tutto il portato di emozioni risvegliate da quel “fagiolino”.

 Sono questi vissuti conflittuali riguardo alla scelta di interrompere la gravidanza che vanno a rappresentare uno dei fattori più importanti nel determinare se ci saranno – ed in che misura- disturbi psicologici clinicamente significativi dopo l'IVG.

 L'IVG può avere conseguenze psicologiche sia nel breve che nel lungo periodo.

 Nel breve termine, subito dopo l'intervento, in genere le donne sperimentano una riduzione dei livelli di stress e di ansia per il venir meno dell'elemento ansiogeno costituito dalla gravidanza indesiderata; in seguito, però, molte donne vivono un'ansia talmente forte da arrivare ad una diagnosi di Disturbo Post-traumatico da Stress o Depressione e sono a maggior rischio di suicidio.

 Il Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo che può insorgere in seguito ad un evento particolarmente grave e traumatico ed è connotato da tutta una serie di sintomi che, nel caso di donne che hanno abortito volontariamente, sono:

  • ricordi spiacevoli, ricorrenti ed intrusivi dell'IVG;

  • sogni spiacevoli e ricorrenti dell'evento;

  • sensazione di rivivere l'esperienza dell'aborto attraverso illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi;

  • disagio psicologico intenso all'esposizione della donna a fattori scatenanti che simbolizzano/possono simbolizzare l'evento traumatico;

  • evitamento persistente di tutti quegli stimoli che possono essere associati con l'aborto.

 Alla luce di queste considerazioni, alcuni Autori hanno definito questi disturbi come “Sindrome Post-abortiva”; questa, molto frequentemente, evolve in un vissuto emotivo di dolore e paura che può determinare nella donna cambiamenti nel comportamento sessuale, episodi depressivi, cambiamento nel comportamento alimentare, disturbi somatici, isolamento sociale, disturbi d'ansia, perdita della stima di sé, fino all'ideazione suicidaria.

 L'IVG, abbiamo detto, viene vissuto da molte donne come un evento estremamente traumatico e questo perchè esse sentono che dentro al loro corpo sta prendendo forma qualcosa e sono loro stesse che stanno dando vita ad un nuovo esserino indifeso; è questo aggettivo che connota l'IVG come traumatica: il feto viene sentito dalla donna come totalmente dipendente e ciò significa che la sua stessa sopravvivenza dipende dalla donna e dalle sue decisioni, cosa che fa di lei, automaticamente, un'assassina.. l'assassina del proprio bambino.

Sapete... in Giappone, quando si riparano le ceramiche rotte, non si nasconde il danno ma lo si sottolinea, riempiendo d'oro le linee di frattura; i giapponesi credono, infatti, che quando una cosa ha subito un danno ed ha una storia, diventi ancora più bella.

 

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